[ITA]
Viviamo in un tempo in cui le piazze non sono più solo fisiche ma digitali. Spazi che dovrebbero servire a informarsi e confrontarsi vengono spesso trasformati in arene dove la voce più aggressiva copre tutte le altre. È il caso della pagina Facebook Agorà Fanpage.it, che con quasi un milione di iscritti attira ogni giorno una quantità impressionante di commenti. Basta scorrere qualche discussione per capire che il clima somiglia più a un ring che a un luogo di dialogo.
E non è un fenomeno isolato. Pagine come GossipBlog.it o Notizie & Gossip mostrano gli stessi meccanismi. Commenti violenti anche sotto notizie delicate, battute fuori luogo, prese in giro continue. È come se qualunque argomento, dal più leggero al più serio, venisse risucchiato in un vortice di provocazioni. E quando compaiono troll e haters, la situazione peggiora. Non cercano un confronto, cercano solo confusione. Basta una risata sarcastica, un’emoji messa con cattiveria, e una discussione normale diventa una lite furibonda.
Viene naturale chiedersi perché tutto questo succeda. La spiegazione è semplice e allo stesso tempo sconfortante. Ai social non interessa la qualità del dialogo, interessa la quantità delle interazioni. Non importa se un commento è sensato oppure no. Importa che esista, che provochi reazioni, che faccia crescere i numeri. Più un post crea divisione, più viene spinto in alto dall’algoritmo. E più sale, più persone ci cadono dentro. È un ciclo perfetto, almeno per chi deve far quadrare i conti.
Il social incassa, l’utente si logora. È qui che il paradosso si fa evidente. Le piattaforme parlano di lotta all’odio, ma non hanno nessuna fretta di impedirlo davvero. Una discussione civile non genera il traffico che genera una rissa virtuale. Ogni commento aggressivo è pubblicità. Ogni flame è profitto. È un meccanismo che riempie molto più le tasche di Zuckerberg che la nostra vita di senso. E mentre lui pensa a quale yacht comprare, le persone si sbranano tra loro per un’opinione diversa.
Il problema è che questa tossicità non rimane confinata online. I giovani ci crescono e imparano che il confronto è uno scontro. Gli adulti ci restano incastrati e ne escono stanchi, frustrati, spesso arrabbiati. Le amicizie si incrinano, le discussioni familiari diventano campi minati. Una piccola frase fraintesa può rovinare un rapporto. Il tutto per alimentare un sistema costruito sul rumore.
Ed è un peccato, perché internet non era nata così. I vecchi forum, pur con i loro difetti, seguivano regole precise e coltivavano la cultura del dialogo. Oggi invece domina il principio dell’immediatezza, della reazione impulsiva, dell’emotività senza filtro. Non resta molto spazio per la riflessione.
A volte la scelta più sana è smettere di alimentare questo circolo vizioso. Non leggere tutto, non rispondere a chi provoca, non restare dentro certe pagine. È un atto di cura verso sé stessi. Perché nessuna informazione dovrebbe essere soffocata dal rumore e nessuna opinione meritare una valanga di insulti.
Forse la vera domanda è quanto siamo disposti a sacrificare per un meccanismo che arricchisce solo chi lo ha creato. Finché continuiamo a partecipare a queste arene, chi le gestisce continuerà a godersi lo spettacolo. A noi resta il caos. A loro, i profitti.
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