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'1984 Today: The Orwellian Age'

manifesto (WWW) [EN] George Orwell, the pen name of Eric Arthur Blair, was one of the sharpest observers of the twentieth century, a writer and journalist who could analyze the mechanisms of power, propaganda, and oppressive social structures with remarkable precision. Among his most famous works, Animal Farm and 1984 stand as
universal warnings against totalitarianism, but also as tools for understanding more subtle dynamics of social control. In particular, 1984, published in 1949, offers a chilling depiction of absolute power and despotism. In the novel, Orwell describes a society where the government exercises total control over citizens’ lives: people are monitored in every action, information is manipulated to create official “truths,” and fear is used as a tool for conformity. The figure of “Big Brother” becomes a symbol of omnipresent authority, capable of shaping thoughts and behaviors without transparency. What makes 1984 remarkably relevant today is the way this type of control—once described as extreme and almost unbelievable in the post-war era—now feels surprisingly close to our reality. The global network, social media, and digital surveillance allow political and economic powers to monitor habits, opinions, and daily choices of millions. Even seemingly innocent acts, such as participating in peaceful protests or expressing dissent on sensitive topics, can be subjected to repression or indirect limitations, as seen, for example, in recent cases in the UK where citizens were arrested for protesting in support of Palestine.
This projection of the novel into contemporary life highlights a subtle transformation of our democracy. It is no longer about overt and violent dictatorships of the past century but about a more refined form of control, where fear, misinformation, and manipulation of public narratives guide collective opinion. The excuse of safety, “common good,” or social stability becomes a means to influence minds, limit critical thought, and standardize society according to the interests of a techno-global capitalist agenda aiming to unify Europe—and potentially the world—without leaving room for dissent or free discussion. 1984 is therefore no longer just a dystopian story or a literary adventure: it is a constant warning. It urges us to reflect on how technologies, media, and institutions can shape our perceptions and behaviors, making us complicit in a system that seems protective but actually directs and restricts. Orwell demonstrates that the most important freedom is not merely external, but mental: the ability to think, doubt, criticize, and act without the constant pressure of omnipresent power. In an era where information travels faster than our capacity to interpret it and where the internet shapes opinions and behaviors on a global scale, 1984 seems almost prophetic: not a tale of distant times, but a living admonition, reminding us to recognize and resist the most subtle and pervasive forms of modern despotism.
[IT] George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair, è stato uno dei più acuti osservatori del XX secolo, scrittore e giornalista che ha saputo analizzare con precisione i meccanismi del potere, la propaganda e le strutture oppressive della società. Tra le sue opere più celebri, Animal Farm e 1984, emergono come moniti universali contro i totalitarismi, ma anche come strumenti per comprendere dinamiche più sottili di controllo sociale. In particolare, 1984, pubblicato nel 1949, rappresenta uno spaccato inquietante della natura del potere assoluto e del dispotismo. Nel romanzo, Orwell descrive una società in cui il governo esercita un controllo totale sulla vita dei cittadini: le persone sono sorvegliate in ogni gesto, le informazioni sono manipolate per creare verità ufficiali e la paura viene utilizzata come strumento di conformismo. La figura del “Grande Fratello” diventa così simbolo di un’autorità onnipresente, capace di modellare pensieri e comportamenti senza alcuna trasparenza. Ciò che rende 1984 straordinariamente attuale è il modo in cui questo tipo di controllo, pur descritto come estremo e quasi incredibile nel dopoguerra, oggi sembra sorprendentemente vicino alla nostra realtà. La rete globale, i social media e la sorveglianza digitale permettono a poteri economici e politici di monitorare abitudini, opinioni e scelte quotidiane di milioni di persone. Anche gesti apparentemente innocui, come partecipare a manifestazioni pacifiche o esprimere dissenso su temi delicati, possono diventare oggetto di repressione o di limitazioni indirette, come dimostrano, ad esempio, i casi recenti in Inghilterra di arresti di cittadini che protestavano a favore della Palestina.
Questa proiezione del romanzo nella vita contemporanea evidenzia una trasformazione subdola della nostra democrazia. Non si tratta più di dittature palesi e violente come nel secolo scorso, ma di un controllo più raffinato, dove la paura, la disinformazione e la manipolazione delle narrazioni pubbliche guidano l’opinione collettiva. La scusa della sicurezza, del “bene comune” o della stabilità sociale diventa così un mezzo per orientare le menti, limitare il pensiero critico e uniformare la società secondo gli interessi di una tecno-globalizzazione capitalista che mira a unificare l’Europa e, in prospettiva, il mondo, senza lasciare spazio a dissenso o discussione libera. 1984 non è più quindi solo una storia distopica o un’avventura letteraria: è un avvertimento costante. Ci invita a riflettere su quanto le tecnologie, i media e le istituzioni possano plasmare le nostre percezioni e i nostri comportamenti, rendendoci complici di un sistema che apparentemente protegge, ma che in realtà orienta e limita. Orwell ci mostra che la libertà più importante non è solo quella esteriore, ma quella mentale: la capacità di pensare, dubitare, criticare e agire senza la pressione costante di un potere onnipresente. In un’epoca in cui l’informazione corre più veloce della nostra capacità di interpretarla e dove la rete plasma opinioni e comportamenti su scala globale, 1984 appare quasi profetico: non un racconto di tempi lontani, ma un monito vivo, da tenere sempre presente, perché ci costringe a riconoscere e resistere alle forme più sottili e pervasive del dispotismo moderno.

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